Con Livia e Valeria trascorremmo a Mascalucia l’estate. Ora, al piano terra abitava la famiglia del calzolaio Nicosia, molto servizievole verso i miei genitori. Dipinsi Cronaca di Mussomeli, Pescatore di Acitrezza, Stefano, Capre cozzanti, Cesta con ricci di mare, Fanciullo con grappoli d’uva, Cavallo all’abbeveratoio e Autoritratto di fronte a mani in tasca. Radunai quanto di meglio avevo dipinto dal ’46 fino ad allora, e allestìi la mia prima personale antologica nei saloni del Circolo Artistico di Catania dal 27 novembre all’8 dicembre ’54. Nel dépliant, Giovanni Carandente asseriva che “fra quanti pittori contemporanei hanno inserito la cultura antica e il mito della Sicilia nella visione figurativa attuale”, io fossi “il più attento ed equilibrato e sapiente e moderno rievocatore”.
Leonardo Sciascia (Mostra di Consoli a Catania, Gazzettino di Sicilia, Rai, Palermo, 3 dicembre) precisava: “Una personale del pittore Giuseppe Consoli si è aperta il 27 novembre nei locali del catanese Circolo Artistico. In quarantaquattro pezzi vi è documentata un’attività che va dal ’46 al ’54, in un diagramma di sicura evoluzione e di raggiunta maturità, anche se non priva di scarti e di sbandamenti. Consoli ha trentacinque anni, vive in provincia ed è naturale che il suo processo di formazione, la sua ricerca di un linguaggio, non sia immune da smarrimenti ed equivoci. Ma in forza di una sua nativa adesione a motivi culturali squisitamente siciliani, le suggestioni e le esperienze più disparate della cultura figurativa attuale, moderna, egli porta quasi sempre a un punto di perfetta fusione: la lezione di Picasso, che a momenti gli si esteriorizza in un gioco formale, spesso coincide con la sua arcaica forza di rappresentazione, dando luogo a personalissimi risultati. Ma al disopra di questo arcaico e istintivo vigore in cui si risolve una cultura composita e dispersiva, Consoli ha una qualità che è profondamente sua, il dono di un’ironia, per così dire, in punta di penna: un’ironia che vorremmo chiamare letteraria, ma in accezione rovesciata: cioè non proveniente dalla letteratura ma destinata a fare letteratura. Anche nelle cose sue in cui più evidente è un’intenzione drammatica, o di pura ispirazione sentimentale, questo dono d’ironia traluce come una filigrana; o beffarda si riduce in un angolo, in una figura, in un dettaglio – come una cifra, una sigla. Forse è un modo inconscio di dare un emblema all’ironìa quella sua preferenza a rappresentare il gatto: il gatto che camminò soletto, vien fatto di dire col Kipling; il gatto che è simbolo di solitaria ironia, di beffarda infedeltà. Nella rappresentazione di animali in genere il Consoli ha una particolare felicità. E il meglio della Mostra ci pare sia da ricercare in queste cose, o in certe evocazioni di vita campestre in cui è un senso di mitica lontananza. Sarebbe un ideale illustratore di favole, il nostro Consoli. O magari un narratore di favole: moderne favole in punta di penna, un po’ alla Steinberg. Ma in Italia non abbiamo un ‘New Yorker’ in cui una simile vena possa trovare sfogo e fortuna”.