“Le immagini di Consoli sembrano percorse da un antico furore. Più che ai portati della cultura figurativa riferita alla sua generazione, questo artista è vincolato alla Stimmung della sua terra siciliana: a un fitto intrecciarsi di solarità e di notturnità, di magnificenza barocca e di natura selvaggia, fascino di negre rocce vulcaniche e di un mare ossessivamente azzurro. Certo la sua vicenda aduna esperienze molteplici, e tuttavia quella Stimmung è ravvisabile in ogni tempo: dai periodi della formazione, nell’immediato dopoguerra, quando la lezione post cubista in genere e il picassismo in particolare esercitavano un carico di suggestioni pressanti, a quelli in cui la propensione al realismo cercava legittimità nell’istanza sociale, e quindi nei cicli delle ‘aggressioni notturne’, delle ‘rapine’ e degli ‘incidenti stradali’, dove invece la desunzione del lato cronistico avvalorava la denuncia dell’assurdità della violenza. Adesso, in più matura stagione, il linguaggio è andato decantandosi in una equilibrata plasticità, in una sorta di oggettivismo nel quale però l’antico furore, lungi dal placarsi, si rafforza in ragione della pregnanza di dati esclusivamente pittorici. Consoli non racconta né descrive: egli è riuscito a emblematizzare l’evento nei termini di un lirismo essenziale che trapassa dai toni di un’asprezza disadorna fino alle note alte di una panica comunione. In questo senso, i ‘paesaggi etnei’ sono esemplari indicando la pluralità di recezione di un avvenimento: quei profili di monti stagliati sull’uniformità di cieli incandescenti, quelle torsioni d’oscure rocce scoscese e tormentate, quei fiori di colore e di luce che emergono da inusitati grovigli trasformano il paesaggio in un misterioso groviglio di vita, nel quale, soggetto evocante e oggetto evocato si compenetrano in allucinante tensione. Questa serie di dipinti ha favorito l’instaurarsi di una dimensione spaziale inedita, rispetto alla precedente vicenda, rendendo possibile l’affrancarsi della susseguente serie dei ‘gatti’, nella quale in pienezza rifluiscono le doti di Consoli. Stagliandosi contro campiture ampie e imbevute di luce – la greve, inebriante luce meridionale – la figura del gatto si propone come l’improvvisa apparizione di un animale mitico, di un latore di messaggio arcano e insieme enigmatico. Potenziando il suo essere ferino, adombra talora il presagio di una minaccia incombente; definendosi in altre versioni nel segno di una parvenza domestica, sembra configurarsi a guisa di nume tutelare. Momenti diversi di una tematica che trova comunque unità di rappresentazione per la cadenza del linguaggio. Il ritorno di Consoli a Milano coincide dunque con le sue prove più significative. E’ da prenderne atto con soddisfazione: la generazione di Consoli, sorta sulle rovine del Novecento è costretta a creare, giorno dopo giorno, i propri credi, al di là delle mode caduche e dei gusti provvisori, rende ancora una volta testimonianza della propria vitalità, della propria necessità di espressione“.